Le feste natalizie “made in Abruzzo” mi rammentano sempre “Parenti serpenti”, il film del ’92 di Mario Monicelli ambientato in un’innevata Sulmona. Un affresco di una famiglia “tradizionale” riunita per le feste e nella quale, apparentemente, sembra andare tutto liscio. Al centro della narrazione c’è spesso una tavola imbandita e “conviviale” dove sfilano i grandi classici della cucina natalizia abruzzese, a cominciare dai celebri fedelini con il tonno fino allo sfuggente e scivoloso capitone, arrostito sulla brace, tra i piatti più rappresentativi del banchetto della Vigilia. Per il pranzo, invece, si intravede in una delle scene chiave del film, il glorioso e godurioso brodo con il cardone, e credetemi, su tutto il territorio regionale non c’è famiglia che si sottragga a questa sontuosa e ricca preparazione, una vera e propria liturgia collettiva, nonché il trionfo della sostanza e dell’abbondanza.
Per raccapezzarci nelle tante preparazioni del periodo, abbiamo stilato una rassegna di quelli che sono i piatti tradizionali del Natale in Abruzzo.
LA VIGILIA DI NATALE
Per il menu della Vigilia, rigorosamente di “magro”, ci viene in aiuto lo scrittore Mario Soldati che nella sua inchiesta sulle tradizioni culinarie natalizie italiane, siamo nel 1958, si imbatte nella baronessa Aurelia Michetti Ricci, figlia del pittore abruzzese Francesco Paolo Michetti.
Il menu recita: «Crustoli, spaghettini con alici, broccoletti in padella, lumache, baccalà al pomodoro, fagioli bianchi all'olio, capitone allo spiedo con foglie di alloro, insalata verde, fichi secchi, noci, castagne arroste, fritti di ceci, torrone, frutta e caffè».
I piatti elencati da Mario Soldati sono ancora oggi presenti nella consuetudine enogastronomica della Vigilia di Natale abruzzese, soprattutto in quella dell’entroterra.
I crustoli, chiamati così in alcune zone del Sangro Aventino, sono le scrippelle (da non confondere con le crêpes teramane), i fritti per eccellenza del periodo natalizio, in quota su buona parte del territorio abruzzese: si presentano con la classica forma allungata e attorcigliata, hanno la superficie esterna dorata, la consistenza morbida e spugnosa e sono apprezzati con una generosa spolverata di zucchero. Tuttavia non manca la versione “salata”, che in questo caso è quella presente nel menu che legge Soldati. La ricetta è la stessa, ma senza zucchero, si aggiunge semplicemente un pizzico di sale, mentre i più ingordi andranno ad addensare l’impasto persino con le alici o il baccalà.
E’ proprio quest’ultimo il vero protagonista di qualsiasi tavolata della Vigilia che si rispetti. Come sottrarsi al baccalà fritto in pastella, a quello in umido, con pomodoro e patate, a quello cotto sulla brace con i peperoni secchi dolci arrostiti o fritti, oppure con i peperoni arrosto, e poi a tutte le declinazioni del baccalà presenti nel teramano, dove il “merluzzo nordico” è questione serissima.
Ma torniamo nella cucina di Donna Aurelia e veniamo agli spaghettini, si tratta sicuramente dei fedelini, formato di pasta dalla forma lunga e sottile simile agli spaghetti. Per la Vigilia il condimento prediletto, oltre alle alici o alle sarde fritte sotto sale, rimane quello con il tonno. I fedelini con il tonno, in scatola, vengono solitamente proposti sia in bianco, che con la salsa di pomodoro, soluzione quest’ultima decisamente più popolare: la preparazione del condimento inizia con un soffritto di cipolla, ma c’è chi preferisce anche l’aglio o li utilizza entrambi, l’aggiunta del tonno sgocciolato e la salsa al pomodoro. I fedelini vanno cotti e scolati al dente per essere ripassati nel sugo.
Veniamo alle verdure e ai legumi, citati come “broccoletti in padella”, “fagioli bianchi all’olio” e “insalata verde”, sono tutte preparazioni onnipresenti, così come il cavolfiore “in bianco”, i ceci abbrustoliti, o le “foglie fritte” ovvero la verza accompagnata dai peperoni secchi dolci e dalle sarde, un must nel lancianese. Un altro piatto imprenscindibile, soprattutto nell’area frentana, sono le lumache di terra, condite con un sostanzioso sugo o ripiene con mollica di pane, aglio e prezzemolo.
Continuando con la lettura del menu, Soldati riporta il capitone, la femmina dell’anguilla, che solitamente si arrostisce sulla brace e che rappresenta un classico della Vigilia “made in Abruzzo”.
Avete presente quella scena di "Parenti serpenti", vero? Bene, occhio che il capitone scivola via!
Il menu della baronessa va avanti con fichi secchi, noci, castagne arroste, fritti di ceci, torrone, frutta. Consumare la frutta, e quella secca, a fine pasto è una consuetudine che persiste. La scelta cade sulle mele locali, l’uva appassita, le fette d’arancia con lo zucchero, le noci.
E poi c’è il dolce, in particolare i “fritti di ceci” ovvero i calcionetti, piccoli fagottini che per aspetto ricordano i ravioli, farciti con un corposo ripieno di ceci, cacao e mosto cotto. Molto quotata anche la versione con le castagne, soprattutto nel teramano, mentre nel pescarese è il parrozzo, un tempo “pan rozzo”, a dettare legge a fine pasto. A Sulmona, invece, ci sono gli scarponi, un concentrato di mosto cotto, cioccolato, canditi, uva passa, noci, mandorle e cannella. Si tratta di biscotti che per certi versi ricordano al sapore il panpepato umbro o il panforte toscano. E poi c’è il torrone, in particolare all’Aquila.
Se nell’entroterra abruzzese il pesce, storicamente, si è sempre consumato “conservato”, sulla costa è il fresco che regna sovrano a tavola, e trova spazio in piatti quali totani e calamari in insalata, seppie ripiene, polpi in purgatorio, “brodetti di pesce”, fritture di paranza, grigliate, e così via. Tuttavia anche da queste parti i menu più tradizionali non disdegnano baccalà, fedelini con il tonno e capitone. Sul fronte “dessert” non mancano calcionetti, scrippelle dolci, e il parrozzo, protagonista assoluto in quel di Pescara.
In Abruzzo, la Vigilia a tavola viene celebrata a pranzo o a cena, in base al rituale familiare o alla consuetudine locale, e il menu in alcune zone può arrivare a contare fino a 13 portate. Degno di menzione è il cenone a base di 7 portate, tutte vegetali, di Capitignano, in provincia dell’Aquila, dove si ritaglia un ruolo importante un ingrediente come la pastinaca: una carota arcaica molto utilizzata nel medioevo, di cui viene usata la radice, di colore bianco, che dopo la cottura assume un sapore dolce e aromatico. La pastinaca di recente è diventata Presidio Slow Food.
IL PRANZO DI NATALE
Liquidata la Vigilia, satolli ci prepariamo al pranzo di Natale che forse oggigiorno, nell’epoca del benessere costante e perpetuo, ha perso a tavola quel carattere di eccezionalità e sacralità che un tempo lo contraddistingueva.
Di sicuro il piatto più interessante e sontuoso rimane il brodo con il cardone, quello che è ancora considerato in Abruzzo “un piatto che fa Natale” e che una volta rappresentava il piatto dell’abbondanza, “assemblato” con un’infinità di ingredienti perché il giorno della festa era necessario compensare la cucina povera di tutti i giorni. Solitamente veniva cucinato il giorno della Vigilia, nel pomeriggio, in quanto piatto dalla preparazione lunga e laboriosa.
Ma veniamo agli ingredienti. Il brodo è ottenuto con carni di tacchino e gallina, tuttavia c’è chi preferisce solo il tacchino o la gallina. Non può mancare il cardone, il “main character” dell’affaire: si tratta del cardo, un ortaggio invernale che per aspetto ricorda il sedano e ha una certa familiarità con i carciofi; irrinunciabili sono anche le “pallottine” ovvero le polpettine realizzate con macinato di vitello che, insieme ad una parte del lesso di gallina e/o tacchino sfilacciato a mano, sono essenziali per arricchire e insaporire il brodo. Un altro must è la stracciatella, preparata con uova e formaggio grattugiato. A questo punto il nostro brodo è assemblato, tuttavia è quotata anche l’aggiunta della pasta fatta in casa, nel formato più congeniale all’usanza familiare o alla località, generalmente le scelte cadono sulla chitarrina “a metà” o sulle scrippelle teramane che per l’occasione diventano “mbusse”. I più golosi non rinunceranno alla pizza rustica, realizzata con uova, formaggio e prezzemolo, cotta al forno e incorporata alla fine.
Ma non è finita qui, prima di fiondarsi sul brodo c’è l’antipasto, quello che un tempo era denominato “all’italiana” e che negli anni di riscoperta della cucina tradizionale locale ora possiamo chiamare fieramente “abruzzese”, un tripudio di sottolio, salumi e formaggi tipici. Quindi c’è il brodo, e a seguire l’immancabile pasta, ostentata nella classica chitarra abruzzese, che nel condimento teramano reclama le pallottine, nelle lasagne al ragù di carni miste o nei cannelloni, mentre nel teramano è impossibile sottrarsi al mitico timballo preparato non con la sfoglia, ma con sottilissime scrippelle a strati (simili alle crêpes francesi) condite con sugo, “pallottine”, spinaci, uova, formaggio, mozzarella, carciofi e tutto quello che ogni ricetta di famiglia, in termini di ingredienti, contempla.
Il risultato finale è una specie di torta che custodisce al suo interno ogni ben di Dio, un po’ come il "timpano" di Big Night!
Continuando nella rassegna enogastronomica natalizia, arriviamo al secondo, rigorosamente di carne. Chi non unisce il lesso sfilacciato al brodo, solitamente lo apprezza come secondo, accompagnato con la giardiniera e i sottolio.
Tra gli altri piatti il tacchino porchettato, il pollo ripieno al forno, l’agnello o il pollo sulla brace e il tacchino alla Canzanese nel teramano, una specialità servita fredda insieme alla gelatina ottenuta facendo riposare e raffreddare il brodo di cottura dello stesso.
Infine per il dessert, il repertorio è lo stesso della Vigilia, e negli ultimi anni insieme ai dolci della tradizione abruzzese stanno prendendo piede e spazio interessanti e sopraffini panettoni artigianali che valorizzano gli ingredienti del territorio.
IL VINO
In un territorio vitivinicolo vocato, variegato e assortito come l’Abruzzo, non possiamo prescindere dal menzionare i vini locali che meglio si abbinano al tripudio culinario dei banchetti natalizi.
Per la Vigilia sono senza ombra di dubbio i bianchi a dominare la tavolata, a cominciare dalle bollicine abruzzesi, per passare al bianco regionale per eccellenza ovvero il Trebbiano d’Abruzzo, fino al Pecorino, la Cococciola, o la Passerina.
E poi c’è il vino più versatile che ci sia, il Cerasuolo d’Abruzzo, perfetto a tutto pasto, ideale anche per il pranzo di Natale: la sua affinità con il brodo o con le scrippelle “mbusse" è davvero invidiabile.
Il Montepulciano d’Abruzzo, invece, nella sua versione più giovane e fresca può essere apprezzato con gli antipasti, il brodo e tutti i primi piatti, mentre sui secondi, in particolare le carni alla brace, possono entrare in scena persino le riserve.
A fine pasto, con i dolci tradizionali del periodo, spazio al vino cotto di Roccamontepiano, alla ratafìa, al Moscatello di Castiglione a Casauria (perfetto anche con i formaggi stagionati), alla genziana, al ponce abruzzese, al centerbe e al nocino: quello che avevate fatto a San Giovanni, finalmente è pronto per essere gustato!