di: Marco Signori

L’oro rosso d’Abruzzo

Tra storia e tecnica, tutto quello che dovete sapere sullo zafferano di Navelli

Adagiato sul colle che si alza al centro di uno dei più estesi pianori dell’Abruzzo interno, il borgo medioevale di Navelli, in provincia dell’Aquila, è un piccolo e caratteristico centro abitato con strade di ciottoli, balconi e finestre in pietra lavorata, portoni di legno intagliato, chiese e dimore signorili, e archi che uniscono le case alzandosi su stretti vicoli.

Da lì si vede tutta la piana che, nei mesi di ottobre e novembre, si veste di viola con una fioritura che, spuntando dalla terra scura, contrasta con i colori tipici del periodo: sono i fiori del Crocus Sativus, dai cui stimmi rossi si ottiene lo zafferano.

Navelli, infatti, è famosa per la produzione di quello che è stato definito “oro rosso”, lo zafferano considerato tra i migliori al mondo, molto apprezzato e utilizzato in cucina per realizzare piatti prelibati e dal 2005 certificato con il marchio Dop, denominazione di origine protetta.

La storia della preziosa spezia, storia che si mescola alla leggenda, è nota: nel XIII secolo un monaco locale portò il fiore di croco dalla Spagna, adattò il metodo di coltivazione alla zona aquilana e lo zafferano trovò un habitat ideale nella piana posizionata lungo il Tratturo Magno, che collegava l’Abruzzo con il tavoliere delle Puglie per la transumanza.

La commercializzazione dello zafferano fu per secoli una ricchezza per Navelli finché, dopo la fine della seconda guerra mondiale, la larga diffusione di uno zafferano di qualità inferiore, e prezzo minore, proveniente dall’estero, finì per rendere poco redditizia la coltivazione dell’oro rosso d’Abruzzo e i bulbi vennero usati come foraggio per gli animali.

 

 

 

La cooperazione salva l'identità

La tradizione secolare rischiò di scomparire ma la creazione della cooperativa di produttori, ideata nel 1971 da Silvio Salvatore Sarra, invertì questa tendenza. Con grandi sforzi, Sarra convinse oltre quaranta produttori a costituire la Cooperativa Altopiano di Navelli, creando collaborazione tra i coltivatori e riportando l’attenzione anche a livello nazionale su un prodotto di qualità, la cui fama si è rafforzata anche grazie alla certificazione Dop.

La certificazione della Dop zafferano dell’Aquila prevede un impegno notevole da parte dei produttori – spiega Filippo Rubei della commissione per la certificazione dello zafferano - perché devono rispettare delle regole ferree, definite nel disciplinare. Quando questo è stato approvato nel 2005, è stato anche condiviso e concordato con il territorio proprio per essere il più rispondente possibile a quelle che erano le condizioni classiche di produzione dello zafferano”.

Le tecniche di coltivazione dello zafferano riprese e codificate nel disciplinare della Dop sono, come si legge nel documento, “pratiche colturali, desunte direttamente da quelle tradizionalmente in uso nella zona”.

Questione di disciplinare

Secondo la tradizione, e il disciplinare, nel corso dell’anno sono due gli aspetti cruciali per la coltivazione dello zafferano dell’Aquila: la rotazione annuale dei campi e la raccolta del croco. La prima avviene nel mese di agosto con l’espiantazione dei bulbi dal campo dove hanno riposato per tutto l’anno e il loro reimpianto in un nuovo campo, in seguito ad un controllo e una leggera mondatura. La raccolta, invece, viene fatta dalla metà di ottobre all’inizio di novembre, tutte le mattine all’alba, quando il fiore è ancora chiuso, per preservarne le caratteristiche organolettiche. Si prosegue, poi, nell’arco della stessa giornata della raccolta con le diverse fasi di lavorazione: la sfioratura, cioè la separazione dei pistilli dal resto del fiore e, infine, l’essicazione fatta con un metodo tradizionale, ponendo gli stimmi su un setaccio e messi ad asciugare al calore della brace di legna di quercia o di mandorlo.

Ogni anno nel laboratorio di analisi della Camera di Commercio del Gran Sasso – spiega Carmine Marroccella, tecnico del laboratorio – campioni di zafferano Dop vengono sottoposti a prove di tipo chimico. Una delle caratteristiche distintive dello zafferano Dop dell’Aquila è la presenza, a livello olfattivo, di un leggero sentore di fumo, perché la fase di essiccazione, che è più opportuno chiamare tostatura, viene effettuata su un setaccio posto sulla brace. Questa è una fase molto delicata, in cui si sviluppano tutte quelle che sono le molecole caratterizzanti dello zafferano Dop dell’Aquila. Il segreto di un buon prodotto è riconducibile alle capacità delle persone che vivono nel territorio e che hanno acquisito, negli anni, trasmettendole di padre in figlio, le tecniche di coltivazione e produzione. Nel riconoscimento di un prodotto Dop, infatti, la presenza antropica è importante tanto quanto la produzione e la trasformazione in uno specifico territorio. Le persone che si dedicano alla coltivazione dello zafferano, abbiano esse 80 anni o siano dei giovani, come sempre più spesso succede, devono essere considerati dei veri e propri tecnologi alimentari, così come lo sono il casaro e l’enologo”.

Il riconoscimento di una specifica professionalità è indubbiamente un passo importante per i produttori che, con la certificazione Dop, hanno in ogni caso un riconoscimento a livello mondiale.

Da quando è stata riconosciuta la certificazione della Dop allo zafferano dell’Aquila, le aziende sono cresciute ogni anno e di conseguenza anche le superfici e i quantitativi prodotti – sottolinea Rubei –. Dopo una flessione della produzione che si è avuta intorno al 2015-2016, recuperata grazie alle azioni messe in campo sia dalla cooperativa di Navelli, che ha agevolato i giovani che volevano iniziare questa nuova attività produttiva, e sia grazie alla Camera di Commercio, che negli anni ha organizzato corsi di approfondimento e di formazione e di conseguenza ha elevato la qualità della produzione sul territorio, le aziende che annualmente richiedono la certificazione sono circa 90, con una produzione che, mediamente, si attesta su 30-31 kg di prodotto certificato con circa 700-800 mila euro di volume d’affari per l’intero territorio”.

Il comitato per la certificazione riceve a giugno di ogni anno le domande di adesione dei produttori e degli agricoltori dei 13 comuni che rientrano nella Dop dell’Aquila. A seguito di queste domande le aziende vengono sorteggiate per un controllo in campo in cui degli ispettori tecnici, inviati dalla commissione, vanno a verificare il rispetto delle norme di produzione e della registrazione sul quaderno di campagna di tutte le operazioni colturali che l’agricoltore e produttore adotta per ottenere la certificazione”, conclude Rubei.

Non solo in cucina:le sue proprietà farmaceutiche

Sebbene lo zafferano Dop dell’Aquila sia un prodotto abitualmente impiegato per realizzare i celebri risotti o insaporire piatti, anche se non sono edibili solo gli stimmi ma anche i fiori, “non vanno dimenticate le sue proprietà farmaceutiche - precisa Massimiliano D’Innocenzo, presidente del Consorzio di tutela dello zafferano dell’Aquila Dop -. Le qualità medicamentose dello zafferano erano note fin dall’antichità, dall’antica Grecia, quando lo zafferano veniva utilizzato dalle donne per i dolori mestruali, come anti-infiammatorio, come digestivo e anche apprezzato per i grandi contenuti di carotenoidi, che sono addirittura superiori a quelli della carota stessa”.

Proprio per studiare nuove applicazioni delle proprietà dello zafferano, sia la Cooperativa Altopiano di Navelli che il Consorzio di tutela intrattengono dei rapporti con diversi atenei, tra cui l’Università dell’Aquila e l’Università di Chieti, considerando che negli ultimi anni sono state scoperte nello zafferano anche delle proprietà antitumorali che sono ancora oggetto di ulteriori studi, ma noi auspichiamo che portino nel prossimo futuro anche a nuove applicazioni nell’industria farmaceutica”, conclude D’Innocenzo.