di: Marco Signori

La cipolla di Bagno, new entry nei Presìdi Slow Food

Ne parliamo con Anna Ciccozzi, referente dei 5 produttori

L’avvento dell’agricoltura industriale, e il conseguente degrado ambientale, sempre più spesso hanno portato alla perdita delle biodiversità che caratterizzano interi territori. Fortunatamente, però, esistono delle realtà con contadini che garantiscono prodotti agroalimentari sani, genuini e di provenienza certa e che, anche grazie al supporto dei Presìdi Slow Food, possono conservare le specificità del luogo, recuperare terreni abbandonati e portare alla conoscenza di tutti antiche memorie del mondo agreste.

Le aree interne sono quelle che hanno bisogno di maggior tutela, ma spesso sono anche quelle dove esistono delle comunità che si battono per il mantenimento e la conservazione di pratiche tramandate di generazione in generazione.

A Bagno, frazione della città dell’Aquila, centro abitato di origine romana che sorse accanto alla città vestina di Forcona e sui cui ruderi fu poi costruita Civita, c’è da sempre una specialità rinomata nella zona e mai del tutto scomparsa dagli orti dei contadini: la cipolla bionda.

Anticamente coltivata anche sul Monte Ocre, a 1.000 metri di altitudine, la cipolla di Bagno oggi si coltiva solo in terreni pianeggianti e irrigui della conca aquilana, nelle frazioni di Bagno, Civita di Bagno e Monticchio e in parte nel comune di Ocre.

Nel novembre del 2023 ha ottenuto il presidio Slow Food ed è il secondo ecotipo abruzzese a ricevere tale riconoscimento, dopo la bianca di Fara Filiorum Petri (Chieti). Rispetto ad altre varietà ha una forma leggermente schiacciata, la buccia dorata e la polpa bianca e compatta, quasi trasparente. Il suo sapore è pungente ma al contempo molto dolce tanto che, nella comunità locale, c’è il vivido ricordo della sua preparazione per la merenda dei bambini con la cipolla cotta sotto la brace del camino, aperta e cosparsa di zucchero.

Gli abitanti di Bagno sono da sempre molto legati a questo bulbo e, con tenacia e sacrificio, hanno permesso la conservazione di questo ecotipo locale nel corso degli anni perché, come ricorda Anna Ciccozzi, una dei cinque coltivatori, referente dei produttori del Presidio e presidente di un’associazione che si occupa della diffusione di una cultura alimentare sana e corretta nel rispetto delle attività agricole, “gli anziani produttori erano gelosi dei semi: li custodivano come un tesoro e li scambiavano solo tra di loro”.

Il legame tra la cipolla e gli agricoltori è ancora oggi molto forte e li vede impegnati in un preciso iter di coltivazione in cui la cipolla viene irrorata solo con l’acqua dei due laghi locali, San Raniero e San Giovanni, “perché è più pulita”, racconta Anna.

La grande attenzione dei contadini per l’acqua, importante risorsa del paese anche in epoca romana, è solamente uno dei motivi per cui da sempre le persone del posto hanno attribuito a questo bulbo specifiche proprietà organolettiche. Altra caratteristica che rende unica la cipolla di Bagno, infatti, è che a Bagno l’ecotipo locale è stato protetto a tal punto da non permettere ad altre varietà di cipolla coltivate in zona di andare in fioritura, scongiurando così il rischio di ibridazione.

Per continuare a tenere viva questa pratica è Anna che, oltre a coltivare frutti, ortaggi e legumi nella sua azienda, si occupa anche di seminare sui suoi terreni i piccoli semi neri della cipolla di Bagno dai quali si ottengono i bulbilli, che vengono poi distribuiti in mazzetti ai coltivatori aderenti al Presidio o a chi ne fa richiesta, e messi a dimora a ridosso della festa patronale di San Raniero che cade a fine giugno.

Tra gli obiettivi dei produttori della cipolla di Bagno c’è anche quello della trasformazione, anche se generalmente viene consumata fresca, e in zona è in uso la pratica di legare le cipolle in trecce conservandole in luoghi freschi. Per ovviare alla naturale deperibilità, che è più veloce rispetto ai bulbi convenzionali, con questa cipolla vengono realizzate anche delle composte, confetture e conserve in agrodolce, fatte seguendo ricette tramandate nelle famiglie.

Un’eccellenza che è un importante patrimonio gastronomico, culturale e sociale, ma che “con il passare degli anni, insieme ai contadini più anziani stava scomparendo. Oggi è importante tramandarlo con tutto il suo bagaglio di usi e memorie, perché sia ricchezza e opportunità per le nuove generazioni”, conclude la coltivatrice.

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