Fare la pasta fresca, fino alla fine degli anni ’50, nella cucina popolare abruzzese rappresentava la quotidianità.
La versione “secca” era considerata un lusso riservato alle occasioni speciali, come quella della “tresca” ovvero la trebbiatura: nelle attività sui campi si coinvolgevano amici e parenti, e insieme al lavoro erano condivisi pasti conviviali dove spesso veniva sfoggiata la pasta “confezionata”, così da palesare “la grascia”, l’abbondanza.
In provincia di Chieti, la pasta secca ha una lunga tradizione, e Fara San Marino, località sul versante orientale della Maiella, vanta un distretto di fama internazionale.
I pastifici attingono l’acqua delle vicine sorgenti del fiume Verde, l’aria è pura, il clima è asciutto e ventilato, il che favorisce un’essiccazione ottimale.
Il valore aggiunto poi è nella scelta delle semole, nelle trafile al bronzo, nella cura della lunga essiccazione, nell’esperienza.
Oggi la pasta fresca continua ad avere un ruolo importante nell’enogastronomia locale, rispetto al passato non rappresenta più la quotidianità, è la preparazione dei giorni di festa, solitamente riservata alla maestria di abili massaie.
Alcuni formati, come la classica e rassicurante “chitarra”, sono una collettiva e solida certezza condivisa con tutta la regione, altri una lontana reminiscenza, si pensi ai “frascarelli” o alle Corde di Chiochie, altri ancora sono relegati e circoscritti in determinati paesi o località, come le ‘Ndrocchie a Cupello.
Quanto ai formati “ripieni”, il più diffuso resta il classico raviolo di ricotta di pecora, presente anche nella versione dolce durante il Carnevale, una consuetudine quest’ultima che, tuttavia, appartiene più alla tradizione della provincia teramana che chietina.
Ma vediamo quali sono le “forme” che assume la pasta nella provincia di Chieti.