di: Marco Signori

Transumanza generazionale a tutela del Canestrato

A Castel del Monte, presidio di tradizione e innovazione sostenibile

Il borgo medioevale di Castel del Monte, piccolo comune in provincia dell’Aquila immerso nel Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, a 1.346 metri di altezza, incanta per l’architettura e per il paesaggio che lo circonda, ricco di boschi e faggete, cime innevate e piani carsici.

Meta perfetta per chi ricerca la natura incontaminata, è un luogo ricco di storia e tradizioni, inserito nel circuito dei Borghi più belli d’Italia e considerato la capitale della transumanza. Il passaggio di pastori e greggi sulla fitta rete di tratturi, percorsi per arrivare dall’Abruzzo nella più mite Puglia, è documentato fin dall’epoca romana: per secoli, infatti, la pastorizia ha rappresentato la principale fonte di reddito dell’economia castellana. La dura vita negli stazzi e la produzione del formaggio di pecora come unico sostentamento nel viaggio sono un ricordo delle vecchie generazioni, ma ancora oggi il pecorino canestrato è uno dei prodotti più celebri del luogo e Presidio Slow Food.

La foto della copertina è di Giovanni Sfarra

 

 

 

CANESTRATO CASTEL DEL MONTE, L'ESSENZA È NEL LATTE

Tra i pochi produttori del famoso formaggio riconosciuti dal Presidio, c’è l’azienda zootecnica Gran Sasso, fondata negli anni ’80 del secolo scorso dal compianto Giulio Petronio e portata oggi avanti da suo figlio Claudio Petronio e da sua nipote Manuela Tripodi.

L’azienda prosegue l’attività iniziata dal suo fondatore con l’allevamento di pecore, prevalentemente la sopravissana, la nera e la gentile di Puglia. Quest’ultima è la pecora storica dell’Abruzzo, quella che formava i greggi definiti dal poeta abruzzese Gabriele D’Annunzio, in un verso della sua lirica dedicata ai pastori, “erbal fiume silente”.

All’allevamento è da sempre affiancata la produzione di prodotti tipici del territorio, in primis proprio il celebre formaggio pecorino canestrato, chiamato così per il canestro di Vimini in cui, anticamente, veniva messo e che è stato sostituito con un canestro in plastica per motivi pratici ed igienici, ma che non ne inficia, in alcun modo, caratteristiche e gusto.

A fare la differenza nel canestrato di Castel del Monte è il latte - racconta Manuela Tripodi –. Un latte che si caratterizza per le proprietà del pascolo che i nostri animali hanno la possibilità di brucare in quanto restano sempre all’interno del Parco dove c'è una grande biodiversità, un patrimonio di erbe spontanee che fanno del latte un elemento di pregio. Con la monticazione, infatti, le pecore in estate sono a Campo Imperatore mentre nei mesi più freddi scendono a quote più basse”. 

SAPORE DA TRATTURO

Questa transumanza verticale non è una novità per i pastori del luogo, ma è una pratica conosciuta anche in passato, tanto che alcuni greggi da Campo Imperatore rimanevano nel teramano o nell'alta collina pescarese, in una zona chiamata Doganella di Atri.

L’alimentazione nelle pecore è determinante sia per il formaggio che per la carne, e le 300 essenze foraggere censite sui pascoli del Gran Sasso, un numero molto superiore rispetto a quelle che si trovano sulle Alpi, contribuiscono a rendere pregiati questi prodotti, in particolare in quelli caseari.

“Il canestrato è un formaggio prodotto a latte crudo, in maniera tradizionale, con l’aggiunta solo di caglio e sale – spiega Claudio Petronio -. È poco lavorato perché in passato si faceva all'aperto, spesso direttamente sugli stazzi in montagna o lungo il tratturo, per cui veniva cagliato, raccolto e messo dentro al cestello. Proprio grazie a questo rapido procedimento si mantengono inalterate tutte le proprietà del latte”.

Si produce tutto l’anno – prosegue – anche se prima era più legato al periodo in cui ci si spostava lungo il tratturo, mentre adesso c’è più necessità di averlo durante l’estate, per motivi legati al turismo. La lavorazione, però, è sempre la stessa da generazioni: si scalda il latte, si porta una temperatura di 39-40 gradi, che è la temperatura corporea delle pecore, si aggiunge il caglio naturale. Quando il latte da liquido si trasforma in una massa non molto compatta, perché ancora carica di siero, questa si frantuma e si mette nei cestelli. Il siero all'interno del formaggio evapora velocemente dai fori dei cestelli, evitando così che il formaggio abbia cattivi sapori e acidità”.

La stagionatura prevista dal disciplinare del Presidio varia in base al peso delle forme e va dai 2 ai 15 mesi; il canestrato stagionato ha un sapore pronunciato, e piccante, che lo rende perfetto per il taglio ma è ottimo anche grattugiato.

TRADIZIONE SÍ, MA SOSTENIBILE

Indubbiamente il pecorino canestrato è il prodotto principale della Gran Sasso, che produce anche una vasta gamma di formaggi, tra cui la ricotta di pecora stagionata, che si ottiene dal siero del latte dopo la lavorazione del canestrato, il formaggio tipo marcetto, un formaggio tipico dell’aquilano che ricorda il cosiddetto ‘cac’ fracico’, oltre a carni e salumi di pecora.

Oltre a produrre al meglio i prodotti tipici locali – prosegue Manuela –, abbiamo anche diversi ettari di coltivazioni a seminativo, principalmente asciutto, che, per valorizzare la fertilità dei terreni, viene alternato rotando le colture. Riusciamo così a produrre sia foraggio per integrare l'alimentazione degli animali, che cereali e legumi di montagna, tra cui le preziose lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, anche queste presidio Slow Food”.

L’azienda, inoltre, fa parte del progetto Pecunia, “nato per impulso dell'ente parco nazionale del Gran Sasso in collaborazione con l'università di Teramo – sottolinea Manuela –. E avendo noi molti capi di gentile di Puglia, la razza più vocata alla produzione di un filato di altissima qualità, produciamo anche la lana, sperando che il mercato di quest’ultima continui a crescere per poter così integrare le attività di tutti i pastori del territorio”.

Attualmente stiamo anche facendo degli investimenti per integrare la dotazione aziendale di impianti fotovoltaici e solari per raggiungere un’autosufficienza energetica che consentirà di produrre energia green oltre a garantire la sostenibilità dell’impresa che, come tutte, oggi si trova a dover sostenere costi energetici elevati”, conclude Manuela.

L’attenzione ai temi di sostenibilità ambientale e efficientamento energetico porta nel futuro l’azienda zootecnica Gran Sasso, mantenendo, però, con tenacia, le tradizioni e le produzioni tipiche castellane.

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