Davide Iacovella, da sempre convinto delle grandi potenzialità delle cultivar autoctone del suo territorio, siamo a Chieti, negli ultimi anni ha recuperato e valorizzato varietà come la Cucco e l’Olivastro di Bucchianico dalle quali ottiene oli monovarietali di altissima qualità.
Custodire la biodiversità olivicola di un territorio, intervista a Davide Iacovella
Come nasce la tua passione per l’olio?
«Con mio nonno, quando ero bambino mi portava sempre con sé nell’oliveto e mi raccontava un sacco di storie dove era quasi sempre protagonista l’olio, una sua grande passione. Aveva circa 100 piante di Leccino piantate subito dopo la gelata del ’56. Mi diceva sempre che un tempo per le famiglie possedere una cisterna di olio era simbolo di ricchezza e benessere, aveva un valore che oggi ormai si è perso. Quella stessa passione negli anni è cresciuta un po’ alla volta anche dentro di me e, intorno ai trent’anni, mi sono reso conto che nella vita volevo occuparmi di olivicoltura: quando andavo nell’oliveto stavo bene, mi sentivo vivo. Ai tempi lavoravo in fabbrica e quando potevo davo una mano ai miei in campagna. Poi il nonno è venuto a mancare, una notte l’ho sognato e mi diceva che l’olivicoltura è quanto di più bello possa esserci, è gioia, come la luce, quella che lui accendeva quando tornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro nei campi e rivedeva i suoi cari. Così ho intrapreso questo percorso e poi nel 2017 è nata l’azienda agricola».
Quante piante hai oggi e quali sono le cultivar?
«Da quelle 100 piante di mio nonno, che sono ancora qui, oggi sono arrivato a contare oltre 9000 ulivi recuperati negli ultimi dieci anni, in buona parte in terreni abbandonati: alcuni oliveti erano letteralmente sommersi dalla vegetazione.
Non è stato facile, in molti casi ho dovuto rintracciare i proprietari persino all’estero e nulla è stato fatto a caso, nel senso che tutto è partito dall’interesse e dalla volontà di ritrovare e valorizzare antiche cultivar presenti in questa zona, parliamo del territorio di Chieti, Bucchianico, Villamagna e Francavilla al Mare, un’area dove ho recuperato varietà come la Cucco, l’Olivastro di Bucchianico, la Gentile di Chieti, ma ho anche scoperto la presenza di cultivar alloctone piantate chissà quanto tempo fa di Coratina, Leccio del Corno, Frantoio, Maurino. L’ampia varietà che abbiamo ci permette di realizzare ben nove monovarietali e la DOP Colline Teatine».
La Cucco quindi è tra le prime cultivar locali che hai recuperato. Che caratteristiche ha?
«È una cultivar storica di Chieti, Ripa Teatina e Francavilla, viene dalla Dalmazia, la sua presenza sul territorio è documentata a partire dall’800. E’ un olivo difficile da gestire in quanto è molto suscettibile all’attacco della mosca, quindi per ottenere buoni risultati in termini di qualità e quantità bisogna prestare particolare attenzione. Dopo la gelata del ’56 in molti hanno preferito piantare il Leccino perché più resistente e meno problematica come pianta, quindi si è un po’ persa l’identità del territorio, qui come nel resto d’Abruzzo con altre cultivar. Attualmente abbiamo recuperato 1400 esemplari di Cucco. È una varietà a duplice attitudine, il frutto è molto carnoso e nel monovarietale, Presidio Slow Food, dà vita a un fruttato medio, amaro e piccante, con sensazioni molto pomodorose».
Invece con l’Olivastro di Bucchianico come è andata?
«Con l’Olivastro è iniziata perché mia moglie è di Bucchianico. Quando andavo da lei, affacciandomi dal balcone di casa sua vedevo sempre queste piante secolari, così imponenti, immense, e mi dicevo: sarebbe bello avere un oliveto così. Poi un giorno mi sono imbattuto in un apprezzamento abbandonato, ho contattato il proprietario che vive a Roma e ho ripristinato l’oliveto che vanta oltre 500 piante secolari di età compresa tra i 200 e i 400 anni. Rispetto alla Cucco, l’Olivastro di Bucchianico è una cultivar molto rustica e ha una buona resistenza. Pare che geneticamente sia imparentata con la Gentile di Chieti, una familiarità che si vede anche dal portamento della pianta che ha uno slancio importante verso l’alto. Le differenze emergono nell’olio: nell’Olivastro spiccano il cardo e il carciofo, mentre nella Gentile si percepiscono più la mandorla, il pomodoro verde leggero, l’erbaceo. Riuscire a fare il monovarietale con l’Olivastro di Bucchianico non è stato semplice, in passato si limitava a concorrere con altre varietà nella produzione dei blend. Abbiamo consultato diversi esperti del settore, fatto prove, e dopo tre anni siamo riusciti nell’intento con ottimi risultati e ora esiste persino una “ragnatela” di quest’olio extravergine d'oliva che è anche Presidio Slow Food».
Come hai iniziato? Nel senso quali erano le tue competenze nel settore dell’olivicoltura ai tempi e come hai imparato?
«Prima di intraprendere questo percorso la necessità è stata quella di capire la pianta, non potevo iniziare senza saper fare la potatura. Così ho frequentato corsi per imparare a potare che mi hanno portato in giro per l’Italia, perché solo la pianta che sta bene può donarci i frutti migliori, se non so potare o lo faccio male la pianta soffre. Il passaggio successivo è stato quello di imparare a fare un olio extravergine d’oliva di qualità, ma prima di arrivarci dovevo capire com’è un olio extravergine di oliva buono e di qualità. Mio nonno aveva la passione per l’olivo, ma l’olio non lo sapeva fare, così come tutta la sua generazione, perché una volta non c’erano le attrezzature per la raccolta che abbiamo noi oggi e mancava l’attuale tecnologia dei moderni frantoi. I tempi sono cambiati, ora abbiamo una certa consapevolezza, una “cultura dell’olio” rispetto al passato, anche se c’è ancora chi pensa che le presse siano sinonimo di qualità, e parla di tradizione.
Quindi mi sono messo a studiare, e con mia moglie siamo diventati assaggiatori e sommelier dell’olio, abbiamo iniziato ad assaggiare quanto più olio possibile, e lo facciamo ancora quotidianamente. Il confronto è l’unico modo che abbiamo per migliorarci e crescere costantemente, perché casa mia non è il giardino più bello del mondo».
C’è qualcuno che ti ha ispirato all’inizio? Un olio o un produttore specifico?
«Anni fa io e mia moglie eravamo in vacanza in Puglia e abbiamo colto l’occasione per partecipare a un evento in cui si degustavano diversi oli. Ricordo che assaggiai un monovarietale di Coratina, fu una sorpresa e realizzai che fino a quel momento stavo viaggiando su un binario completamente diverso, io volevo fare un olio così, con quello slancio di amaro e piccante. Quell’evo mi colpì così tanto che mi spronò a fare meglio».
Siete in regime biologico? Solitamente quando iniziate la raccolta e che tipo di frantoio utilizzate?
«Siamo in regime di lotta integrata perché nei nostri terreni abbiamo circa sei ettari di vigna dislocata vicino al fiume, lì durante l’estate c’è un’umidità importante che condiziona tanto la vite, quindi fare il biologico in quel frangente è molto complicato. Invece nell’oliveto per la gestione delle piante utilizziamo concimi organo minerali. La raccolta inizia l’ultima settimana di settembre e segue la maturazione delle diverse cultivar: cominciamo dalla Dritta che è più precoce, poi continuiamo con Intosso, Cucco, Leccino, DOP Colline Teatine, Olivastro di Bucchianico, Coratina, Gentile di Chieti e chiudiamo con Leccio del Corno, varietà più tardiva. Io con l’olio voglio viaggiare in Ferrari, quindi subito dopo la raccolta, quotidianamente, vado a frangere a Penne da Claudio Di Mercurio che è uno dei migliori frantoi in Abruzzo. Dopo la molitura l’olio viene filtrato e messo sotto azoto. Quanto alla commercializzazione, oltre alle bottiglie, abbiamo anche il bag in box».
Fate accoglienza?
«Assolutamente, nel 2022 abbiamo inaugurato una sala degustazione, e se tutto va bene il prossimo anno avremo in azienda anche una terrazza panoramica con vista Maiella. Attualmente proponiamo quattro diverse esperienze: la classica degustazione, la passeggiata nell’oliveto con degustazione, la passeggiata con degustazione e cena dove ogni piatto ha il suo olio evo in abbinamento, e poi la giornata dedicata alla raccolta delle olive: si inizia nell’oliveto al mattino e si conclude con la molitura in frantoio alla sera.
Per noi raccontare, far assaggiare i nostri prodotti, “formare”, è una necessità, è condivisione, convivialità, non c’è modo migliore per far conoscere un olio e il suo territorio.
L’olio non è mio, è di tutti, gli oliveti non sono miei, io semplicemente li sto custodendo, sono aperti a tutti: il mio oliveto non ha recinti o catene perché bisogna viverlo, respirarlo, per imparare a conoscere l’olio. Quando una persona assaggia l’olio deve essere concentrata, si deve emozionare, deve essere libera di dire mi piace o non mi piace, deve riuscire a capire le sensazioni, e tutto questo se viene fatto nel contesto ideale ti fa innamorare. Voglio che chiunque venga a trovarci esca da qui con il sorriso e la curiosità.
Io semplicemente ti porto vicino a una finestra, la apro e ti dico: guarda che lì c’è un mondo che tu fino ad ora non hai mai visto, questa è la finestra, scendi giù, apri la porta e vai in quel mondo, addentrati, emozionati perché non sai cosa ti stai perdendo».
Azienda Agricola Iacovella
Strada Per Villamagna, 9/A, Chieti
www.agricolaiacovella.it
Tel. 328 533 9472
[Crediti | Foto di www.olimonovarietaliabruzzo.it]