di: Marco Signori

Vive la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio

Grazie al cuore di un ingegnere tornato a produrla

In una posizione particolarmente panoramica ad un’altitudine di circa 1.200 metri, sul versante aquilano del Gran Sasso d’Italia, sorge il borgo di Santo Stefano di Sessanio (AQ).

La torre merlata di forma cilindrica, eretta dalla casata de’ Medici e ricostruita dopo il terremoto del 2009, è l’emblema di quello che si può considerare uno dei borghi più conosciuti e suggestivi dell’entroterra abruzzese: essa svetta al centro del profilo urbano il quale, come spesso accadeva nella costruzione dei nuclei medievali, si sviluppa avvolgendola in un circolare snodo di vicoli e case.

Dopo lo spopolamento iniziato con l’unità d’Italia, negli ultimi 20 anni il paese è diventato un modello di sviluppo ecosostenibile e, con l’aumento del turismo culturale e naturalistico, sono aumentate le attività di ristorazione e di ricettività. Un impulso determinante è stato dato dall’apertura dell'albergo diffuso Sextantio, che riprende il nome dall’antico borgo così chiamato per la sua distanza di circa sei miglia da Peltuinum, centro romano con importanti assi viari che definivano il passaggio tra Roma e la costa adriatica.

 

 

LE LENTICCHIE DI SANTO STEFANO DI SESSANIO: PICCOLI E PREGIATI CONCENTRATI DI SAPORE

Il prodotto simbolo di Santo Stefano di Sessanio è la lenticchia, una qualità antica, differente da altre che si trovano in commercio, di piccole dimensioni e grande sapore, che ha trovato un ambiente ideale sulle terrazze calcaree dell’altopiano.

È una vera e propria eccellenza, coltivata in zona sin dall’antichità, esclusivamente su terreni situati tra i 1.200 ed i 1.600 metri di altezza, e attualmente prodotta da una decina di aziende, tutte comprese nel vasto areale localizzato tra i comuni di Santo Stefano di Sessanio, Barisciano, Calascio, Castel del Monte, Castelvecchio Calvisio.

Per preservare la tipicità e la qualità della preziosa leguminosa, per tutelare il consumatore da prodotti non originali, garantire lo sviluppo e la valorizzazione delle coltivazioni e offrire anche ai giovani la possibilità di restare nel territorio è stata costituita l’Associazione di produttori, supportata dal riconoscimento del Presidio Slow Food.

IL RACCONTO DI ETTORE

Qui a Santo Stefano la storia della lenticchia si perde negli anni, noi la coltiviamo da tantissimo tempo – racconta Ettore Ciarrocca, presidente del consorzio che riunisce i produttori e con la sua azienda agricola lui stesso produttore –. È un prodotto che si adatta benissimo al tipo di territorio che abbiamo e le condizioni ambientali ci consentono di non fare ricorso ad ausili chimici. Noi, infatti, non usiamo additivi né pesticidi: sono l’altitudine e il freddo a funzionare da diserbanti e a permetterci di continuare ad avere un prodotto naturale”.

Ettore è un ingegnere che ha scelto di lasciare la professione e tornare a lavorare nell’azienda di famiglia, attività che svolge a tempo pieno, oltre ad avere un negozio di prodotti tipici nel centro del borgo.

Sono la terza generazione a gestire l’azienda – spiega –. Per circa 15 anni ho lavorato come ingegnere, ma la mia passione era un’altra: dentro sono sempre stato agricoltore. Nel tempo le cose sono cambiate: non è più un’attività di sussistenza come quella che faceva mio nonno, e dagli anni ‘70 abbiamo iniziato a commercializzare le lenticchie, rendendole il prodotto più importante dell’attività”.

La lenticchia di Santo Stefano ha un diametro che si aggira intorno ai 2-5 millimetri, ha un colore scuro, a volte con delle screziature, non richiede di essere messa in ammollo prima di essere consumata, è ricca di ferro, ha pochi lipidi e un alto contenuto proteico.

La nostra lenticchia – prosegue Ettore – è molto più piccola di quelle tradizionali, ha dei tempi di cottura brevissimi, proprio perché la coltiviamo in quota, al di sopra dei 1.200 metri. Inoltre ogni lenticchia è diversa dall’altra, anche nelle dimensioni, questo probabilmente perché riusiamo gli stessi semi da decenni: quindi è possibile trovare delle lenticchie striate, altre punticchiate di nero. Avendo, poi, dei metodi di raccolta tradizionali, così come i metodi di pulitura, a volte capita di trovare in mezzo alle lenticchie anche qualche seme proveniente dalle piante circostanti".

È prodotta secondo quelli che erano i metodi antichi, quelli utilizzati quando non aveva senso parlare di colture biologiche – precisa –. Abbiamo un’attività sostenibile, che non consuma il suolo e per il rinnovo del terreno utilizziamo il principio del sovescio. Questo ci permette di avere pratiche agricole virtuose e un prodotto nobile in termini di gusto e di valori nutrizionali”.

In passato, prima che se ne capisse l’importanza per conservare le tradizioni, ma soprattutto per sostenere lo sviluppo dell’economia locale, la lenticchia veniva venduta e commercializzata in altre zone più o meno vicine.

Negli anni passati la lenticchia di Santo Stefano non era famosa e conosciuta come adesso: fino ai primi anni 80 gran parte del prodotto che veniva raccolto era commercializzato a Castelluccio di Norcia con quel nome. Ma, a dire la verità, noi anche in quel periodo già producevamo due tipi di lenticchia: quella tipica delle nostre zone e la lenticchia verde che, invece, è quella tipica di Castelluccio. La commercializzazione della nostra lenticchia è iniziata già sul finire degli anni 70 e la sua popolarità è aumentata finché, nel 2005, insieme al Parco abbiamo costituto un presidio. Il Parco ci ha dato un grosso aiuto per rendere il prodotto più conosciuto, anche se spesso abbiamo i campi completamente danneggiati dalla fauna selvatica”.

Le difficoltà di sopravvivenza, la crescita sui terreni impervi e il clima freddo dell’altopiano del Gran Sasso, però, sono proprio quello che rendono unica, e pregiata, la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio.