Ai piedi del Gran Sasso, a circa sette chilometri dal centro storico dell’Aquila, si trova la frazione di Paganica, la più grande del capoluogo abruzzese per numero di abitanti. Secondo la leggenda fu uno dei 99 centri urbani che partecipò alla fondazione dell’Aquila, realizzando uno dei quarti in cui la città fu divisa, con a capo la chiesa di Santa Maria Paganica.
Paganica è attraversata dal Torrente Raiale, che nasce sul Gran Sasso e scende a valle costeggiando il Santuario della Madonna d’Appari, chiesa del XIII secolo costruita nella roccia all’interno di una gola in una posizione molto suggestiva, e nella vicina frazione di Tempera, si trovano le sorgenti del fiume Vera, oggi riserva naturale.
Questa ricchezza di risorse idriche rende il territorio un luogo ideale per la coltivazione di ortaggi e legumi. Grazie a un sistema irriguo che risale all’epoca romana, caratterizzato da canali di scorrimento su minima pendenza che portano acqua su tutto il territorio, e grazie ai suoli di natura alluvionale, l’agricoltura, in particolare la secolare coltivazione dei fagioli, ha sempre avuto un ruolo centrale nell’economia del paese.
Il Fagiolo di Paganica, presidio Slow Food, è una specificità del territorio e fino a qualche decennio fa raggiungeva livelli di produzione importanti, mentre oggi sono pochissime le aziende che portano avanti questa coltivazione. Tutte situate nella conca del fiume Vera, sono gestite da giovani che hanno deciso di recuperare la semente dai coltivatori più anziani e utilizzarla, sì come fonte di reddito, ma anche per la valorizzazione del territorio.
“Non vengo da una tradizione agricola familiare ma ho sempre avuto una grande passione per questo mondo – racconta Matteo Griguoli, 40 anni, che gestisce l’omonima azienda dal 2008 –. Ricordo che in una foto nell’album di famiglia mia madre scrisse ‘da grande farà la fattoria perché ama gli animali’. E oggi ho un’azienda agricola con un piccolo allevamento e mi dedico alla coltivazione di ortaggi, cereali, foraggi e naturalmente dei fagioli”.
La coltivazione dei fagioli di Paganica, a differenza di altri tipi, richiede molta manodopera a partire dalla rimozione delle erbe infestanti, proseguendo poi con la semina che avviene in primavera, con la sistemazione dei pali di sostegno in legno di salice, essendo una pianta rampicante, con la raccolta a fine autunno e la separazione dei fagioli dai baccelli. La difficoltà di coltivazione lo ha reso un prodotto di nicchia, con un costo elevato rispetto ad altri tipi, tanto che non è mai stato etichettato come “carne dei poveri”, ma soprattutto, dagli anni settanta dello scorso secolo, ha portato ad un drastico calo produttivo.
“Portiamo avanti la tradizione attualizzandola anche con un po’ di tecnologia che ci aiuta nelle varie fasi, dalla semina alla raccolta – spiega Griguoli –. È impensabile, altrimenti, riuscire a gestire un’azienda agricola nella quale, oggi come oggi, vengono coinvolte solamente una o due persone per un lavoro che è molto manuale, soprattutto pensando che negli anni Cinquanta intere famiglie contribuivano alla produzione dei fagioli”.
Anche se la produzione è molo inferiore rispetto al passato, perché poche sono le persone, e le aziende, che si occupano della coltivazione di questo legume, “fortunatamente – sottolinea l’agricoltore – con la commercializzazione non abbiamo mai avuto problemi perché è un fagiolo molto apprezzato e conosciuto in tutt’Italia, ma anche all’estero, e credo che il motivo del successo sia dovuto al suo sapore e alle sue caratteristiche uniche”.
Nel presidio Slow Food rientrano due ecotipi di fagiolo di Paganica che si differenziano tra loro per il colore del seme: il fagiolo a pane, anche definito ‘ad olio’, di colore beige tendente al nocciola con un occhio centrale e il fagiolo bianco, anche definito ‘a pisello’, di colore bianco avorio, che ha una forma più tondeggiante rispetto al primo.
“Noi coltiviamo molte tipologie ma le più importanti, quelle che rientrano nel presidio, sono il fagiolo bianco e il fagiolo a olio che hanno delle caratteristiche che li rendono prodotti unici, specialmente il bianco che, per la particolare consistenza della buccia è molto più facile da digerire”, aggiunge.
La buccia del fagiolo bianco, infatti, è meno dura rispetto alle altre varietà e ha una parte interna burrosa, più tenera rispetto a quello “ad olio”. Quest’ultimo, però, dopo la cottura, che deve essere breve, conserva maggiore fragranza e sapore.
Ottimi conditi con olio extravergine, sale e pepe, possono essere usati nella preparazione di minestre, insalate, macinati per la farina o nella zuppa locale, con il guanciale, generalmente accompagnata al pane casereccio.