In Abruzzo alcuni resti archeologici attestano la coltivazione e la trasformazione del farro già in epoca italica, e il termine dialettale “lévese” con cui ancora oggi viene chiamato il farro nelle zone montane, secondo alcuni deriverebbe dal termine “alura” con cui gli antichi Greci individuavano una varietà di farro o dal latino “alica”, che stava a indicare la farina ottenuta dal farro.
Con il sopravvento di altri cereali, come frumento, mais e riso, la coltivazione del farro si è poi ridotta progressivamente nel tempo.
Ancora a fine ‘800 il prodotto era ben presente nelle aree montane. Sono i resti di numerosi mulini a pietra ritrovati in cascinali abbandonati a testimoniarne la coltivazione, in particolare in piccoli fazzoletti di terreno. Teodoro Bonanni in "Le antiche industrie della provincia di Aquila" (1888) sottolinea la presenza del farro nel territorio aquilano, notando che
"i prodotti annui oltrepassano i 60.000 tomoli, un terzo dei quali è segale, che vegeta e cresce in quei terreni ove non prospera bene il grano".
In Abruzzo viene coltivato quasi esclusivamente il farro medio, ovvero quello appartenente alla specie botanica Triticum dicoccum. Un lavoro di caratterizzazione morfo-fisiologica delle specie di farro abruzzesi ha consentito di risalire a tre tipi distinti di farro medio:
• tipo “Garfagnana” simile alla popolazione presente nell’omonima zona toscana, con
spiga grande
• tipo “Italia Centrale” che si avvicina a quello coltivato in altre zone d’Italia, come a Leonessa (Ri) o Monteleone di Spoleto (Pg), con spiga piccola, sottile
• tipo “Italia Meridionale”, dalla spiga grande, assimilabile alla popolazione coltivata nell’Appennino molisano.
Se un tempo era coltivato per lo più per uso domestico, oggi il farro d’Abruzzo non è scomparso, anzi gode di nuova fortuna e apprezzamento. Dalla farina si ottengono ottime paste secche, dal sapore e dalla consistenza particolari. Si ratta di un alimento molto versatile e dalle qualità organolettiche e nutrizionali eccellenti.
Inoltre, poiché richiede pochissimi interventi in fase di coltivazione, consente da un lato un risparmio energetico, dall’altro garantisce una buona resistenza rendendosi così una coltura ben adatta alla coltivazione con metodo biologico.