di: Francesca Piccoli

Fara Filiorum Petri un borgo di origine altomedievale

Storia, tradizioni e produzioni d’eccellenza

Fara Filiorum Petri

Disteso in pianura, al centro della Val di Foro, con il centro storico posto a ridosso di un piccolo colle, Fara Filiorum Petri è un comune abruzzese della provincia di Chieti circondato da tre fiumi: il Foro, la Vesola Sant’Angelo e la Vesola San Martino.
Di origine longobarda, il toponimo, che significa “terra dei figli di Pietro” colloca la fondazione del comune, che oggi conta circa duemila abitanti, al periodo della dominazione, tra il VI e l’VIII secolo dopo Cristo, della popolazione germanica dei Longobardi.
Il borgo è noto per la festa delle “Farchie” che si svolge il 16 gennaio di ogni anno e per la coltivazione Cipolla bianca piatta di Fara Filiorum Petri, un Presidio Slow Food del caratteristico aroma e dalla inconfondibile forma schiacciata. Da assaggiare anche Lu
serpendone di Sant'Antonio, tipico dolce di Fara Filiorum Petri, dedicato appunto a Sant'Antonio Abate
Fra le bellezze di Fara Filiorum Petri, sono da vedere le chiese di San Salvatore (secolo XI), in cui spicca il portale d’ingresso in pietra scolpita, Sant’Eufemia (secolo XI) e Sant’Antonio Abate (secolo XIV).

Il rito della Farchie di Fara Filiorum Petri, una festa di popolo Tra foclore, magia e leggenda, ogni 16 gennaio, si accende la notte del borgo

Le Farchie

Il fuoco accende la notte più lunga di Fara Filiorum Petri e riscalda le giornate d’inverno dei contradaioli che si ritrovano per legare migliaia di canne. Unite tutte insieme con rami di salice rosso, intrecciati fra loro, permetteranno la costruzione di un’enorme farchia che sarà lasciata ardere la sera del 16 gennaio. In migliaia, ogni anno, arrivano “alla Fara”, nel cuore della provincia di Chieti, per vedere bruciare queste fiaccole singolari, realizzate dalle diverse contrade del paese, a ricordare il miracolo del Santo protettore. Secondo il racconto popolare, Sant'Antonio abate apparve nel 1799 alle truppe francesi che volevano entrare a Fara Filiorum Petri e trasformò le querce che circondavano il paese in fiamme, costringendo alla fuga i soldati.
Tornando al rituale. Il giorno della festa la farchia realizzata nelle settimane precedenti dai contradaioli dovrà essere stata trasportata e issata manualmente. L’urlo del capofarchia coordina i movimenti e scandisce i tempi. L’enorme fascio di canne, alto tra i 7 e di 9 metri per un diametro tra i 70 e i 100 centimetri, è pronto essere acceso, insieme a tutti gli altri.
Con le farchie che ancora bruciano si entra nella festa: vino, bruschette, arrosticini. Musica e canti, per una tradizione che accoglie e avvolge. Una festa sentita e tramandata come alle origini, tanto che anche le scuole del paese realizzano la loro farchia. Sarà la prima ad essere accesa nel piazzale. Segno che i faresi non recitano un copione, ma interpretano
con passione una storia che appartiene al loro dna. 

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