Il caciocavallo di Pescocostanzo gode di numerosi premi e riconoscimenti, è nell’elenco dei Pat, prodotti agroalimentari tradizionali abruzzesi e, spiega Andrea Spica, allevatore e produttore di Pescocostanzo, “con alcuni produttori, e con il supporto degli enti del territorio, ci stiamo impegnando per far sì che venga riconosciuto tra i presidi di Slow Food, poiché ha tutte le caratteristiche per poterlo diventare, permettendo così una maggiore valorizzazione e tutela di questo prodotto tipico”.
L’azienda di Spica è una delle più grandi della zona e, sebbene sia un’azienda artigianale, chiude tutte le fasi della filiera, dalla produzione alla trasformazione dei prodotti.
“Provengo da una famiglia di allevatori, lo facciamo da sempre, da generazioni: mio nonno era un allevatore, mio padre ha continuato la strada di mio nonno e anche io ho proseguito la tradizione di famiglia - racconta il produttore -. Pescocostanzo conta ancora parecchi allevatori di bovini e non sono l'unico produttore che si occupa della trasformazione. La mia l'azienda è la più grande in paese: qui lavoriamo circa 60 quintali di latte a settimana e il 90% della produzione sono tutti formaggi a pasta filata, quindi scamorza, fior di latte, caciocavallo. Abbiamo un allevamento di sole mucche, la pezzata rossa, la bruna alpina e la pezzata nera, non abbiamo pecore, ma nel periodo invernale alleviamo maiali che poi trasformiamo in salumi. I nostri tori, per la maggior parte, sono da rimonta artificiale, differenziati per razza, e facciamo i tori da carne. I vitelli che nascono incrociati con i tori da carne vengono allevati in azienda, e poi vengono macellati e venduti da noi”.
Per garantire l’alta qualità del rinomato formaggio, l’alimentazione delle mucche ricopre un ruolo fondamentale ma è il clima dell’altopiano pescolano, che con i frequenti sbalzi di temperatura influisce maggiormente nella buona riuscita del prodotto.
“Dietro il nostro caciocavallo ci sono le nostre mucche e il loro latte - sottolinea Spica -. L’alimentazione dei nostri animali è importantissima: il pascolo primaverile conferisce particolari profumi nel latte e di conseguenza nel formaggio. Poi varia da animale ad animale ed è differente se le mucche sono in lattazione o se non lo sono: per quelle in lattazione, per esempio, noi utilizziamo il carro miscelatore dove vengono mescolate erba medica e farina, mentre le vacche in asciutta mangiano fieno lungo. Ma è un’alimentazione rigorosamente tutta naturale”.
“Noi ci mettiamo tutto l'impegno possibile tra alimentazione delle mucche e lavorazione, ma sono la natura e l’ambiente a fare la differenza. Nei nostri prodotti finiti, infatti, la grande parte del lavoro la fa il microclima: qui c’è una grande escursione termica e anche se il giorno si arriva attorno ai 20-23 gradi la notte è fredda. Non abbiamo bisogno di particolari celle di stagionatura per i formaggi e magari quel grado in più che c'è nelle nostre cantine, nel periodo estivo, rilascia altri sapori rispetto al formaggio che viene prodotto nel periodo invernale, anche se l’essenza del formaggio resta invariata”, prosegue l’imprenditore pescolano.
La lavorazione del caciocavallo avviene manualmente, richiede braccia forti e, nei piccoli caseifici aziendali o familiari, avviene in recipienti e mastelli in legno che, data la porosità del materiale, fungono da starter e trasferiscono al latte innesti naturali e specifici.
“Per una nostra comodità, nel nostro caseificio quella del caciocavallo è una lavorazione che lasciamo per ultima, dopo quella di mozzarelle e altri latticini, perché è una lavorazione che viene fatta tutta completamente a mano - spiega Spica -. La prima cotta di caciocavallo, riusciamo a modellarla con un certo vigore, ma dopo cinque o sei volte che lo impastiamo, non si ha la stessa forza. È un formaggio che noi produciamo tre volte la settimana, tutto l’anno, con latte appena munto, o che non supera mai le 48 ore dalla mungitura. Lavoriamo a latte crudo, non lo pastorizziamo, lo scaldiamo a una temperatura inferiore a 40°, e dopo la coagulazione lo impastiamo, lo modelliamo con acqua calda, mettiamo il cappio che gli dà la tipica forma e lo immergiamo nell'acqua fredda, così mantiene la forma che gli abbiamo dato. Poi il pomeriggio, quando il caciocavallo è abbastanza raffreddato, lo passiamo in salamoia dove rimane in genere 16-17 ore, a seconda del tipo di salamoia. Poi lo appendiamo per l’asciugatura e la stagionatura”.
I caciocavalli vengono messi ad asciugare per circa venti giorni a cavallo di pertiche, in un locale fresco e asciutto e trascorso questo periodo sono pronti alla stagionatura, che varia dai 3 ai 12 mesi ma arriva anche a 24 mesi.
“Il nostro caciocavallo non viene messo in commercio prima di 60 giorni. La maggior parte della nostra produzione ha una stagionatura breve perché i locali che abbiamo attualmente per la trasformazione non consentono la conservazione per lunghe stagionature, anche se stiamo finalmente ampliando il capannone per diversificare maggiormente l’offerta, aggiungendo quelli più stagionati alle varietà che già produciamo: classico, senza lattosio, con il peperoncino piccante e quello con il tartufo”, conclude Spica.
La riconoscibile forma ‘a pera’ del caciocavallo si ottiene legando il formaggio con il filo di rafia o con lo spago; la testina creata dallo spago, che sovrasta la forma globosa, è diversa per ogni laboratorio artigianale. Il suo peso non è mai inferiore a 1 kg e ha un diametro variabile.
La superficie esterna, la buccia, è lucida, liscia e sottile, di colore giallo intenso mentre la pasta, compatta e morbida, dalla tipica struttura a foglie sottili e omogenee, esente da occhiature e leggermente elastica, può presentare svariate sfumature di colore.